Cos’è il pianale di un’auto? Ecco tutte le risposte

Spesso se ne parla, raramente si spiega di cosa si tratta: stiamo parlando del pianale delle automobili. Un argomento che fino a pochi anni fa, al di fuori di un ufficio tecnico, era da addetti ai lavori, o al massimo da appassionati di tecnica. Poi, da quando nel 2011 il Gruppo Volkswagen ha annunciato la rivoluzione tecnica della piattaforma modulare MQB, il tema è salito alla ribalta entrando praticamente in qualsiasi discorso legato ad un nuovo modello del gruppo tedesco e non solo, visto che negli anni successivi anche altri gruppi – PSA, Renault-Nissan, Volvo ecc.ecc. – hanno compiuto la stessa operazione. Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire l’importanza del componente che sta alla base di ogni automobile. Se il motore è il cuore di una vettura, allora il pianale è certamente lo scheletro, quello attorno al quale si regge tutto il resto.

Dall’autotelaio alla scocca portante

Una volta si chiamava autotelaio ed era staccato dalla carrozzeria. C’erano due longheroni paralleli collegati da alcune travi perpendicolari che facevano da base per tutto il resto, scocca compresa. E’ la soluzione tecnica che adottano ancora le fuoristrada dure e pure, come la Jeep Wrangler o la Mercedes Classe G, ma anche i veicoli commerciali e i pick-up. Le ragioni sono sostanzialmente due: robustezza e facilità di intervento. Questa soluzione è stata superata da quella definita a scocca portante, inventata dalla Lancia con la Lambda nel 1923 e arrivata alla grande serie in Italia con la Fiat 1400 del 1950. Da quel momento in poi la maggior parte delle auto di serie ha utilizzato questa soluzione, a eccezione delle sportive con monoscocca centrale (a cui vengono saldati e/o imbullonati i telai ausiliari) come la Ferrari F40 o la Alfa Romeo 4C.

Dov’è e a cosa serve il pianale

La parte bassa di una scocca portante, quella che volgarmente potremmo chiamare “pavimento”, è quello che si definisce il pianale, la base su cui viene costruito tutto il resto dell’auto, a partire dalla base dei montanti anteriori, dai duomi delle sospensioni, dalla barra trasversale che sostiene la plancia, dal parafiamma e dai due semi-longheroni anteriori che hanno il compito di assorbire il grosso dell’energia cinetica in caso di impatto frontale. Ovviamente progettare e sviluppare questa parte dell’auto è molto costoso, sia per i calcoli di rigidità e resistenza, sia per il posizionamento di tutti i componenti che dovrà accogliere, compresi i loro “attacchi”, sia per i vari passaggi dei cavi o dei tubi di ogni genere. Senza dimenticare l’implementazione in termini di produzione, a livello di macchinari, procedure e logistica. Va da sé, dunque, che quando si progetta un pianale il costo che si può quantificare in termini di miliardi vada poi spalmato su molti modelli.

Stesso pianale, sospensioni, passo e carreggiate diversi: si può fare

La grande idea del Gruppo Volkswagen è stata questa: progettare un pianale in grado di modificare la maggior parte delle sue misure a seconda delle esigenze, eccezion fatta per la parte che va dal parafiamma al mozzo dell’avantreno che poi è quella più complicata e costosa da modificare. Tutto il resto può variare: altezza, larghezza, passo, sospensioni e sbalzi. Ovviamente le linee produttive vanno modificate di conseguenza, ma quando sulla stessa piattaforma modulare si producono decine di auto, il gioco vale la candela. Nel caso del Gruppo VW, poi, si parla di piattaforma e non di pianale, perché il concetto della standardizzazione è esteso ad altri componenti, come i motori, le trasmissioni, la trazione integrale, le sospensioni e perfino i serbatoi del metano. Nella pratica vuol dire che tolte le citycar Citigo, Mii e Up!, tutte le Volkswagen, le Skoda e le Seat sono progettate sul pianale MQB; anche le Audi a motore trasversale – A3, Q2, Q3 e TT – mentre quelle a motore longitudinale hanno una piattaforma dedicata (MLB). Il quadro si chiude con la piattaforma sportiva del Gruppo, la MSB che è condivisa da Audi, Porsche, Bentley e, in parte, Lamborghini.

Un pianale può durare anche più di vent’anni

L’idea di sfruttare il pianale in questo modo era già venuta alla Fiat nel 1981 con il progetto Veicolo Sperimentale a Sottosistemi (VSS) che pur non avendo una modularità spinta come quella dell’MQB prevedeva già la possibilità di variare i alcune dimensioni e parte delle componenti. Da quell’esperienza nacquero il pianale Tipo 4 – Alfa Romeo 164, Fiat Croma, Lancia Thema e Saab 9000 – e l’ultra longevo Tipo 2 che ha debuttato con la Fiat Tipo nel 1988 e ha avuto una carriera di oltre 20 anni evolvendosi in tre generazioni e arrivando fino all’Alfa Romeo 147. Una longevità figlia anche di scarsi investimenti che ha portato alla nascita di modelli sfortunati ma che è anche un ottimo esempio dell’arte di arrangiarsi e di riuscire a sviluppare auto affascinanti con poche risorse, come l’Alfa Romeo GTV o la Fiat Coupé.

Su cosa influisce il pianale

La storia del pianale Tipo 2, infine, è un ottimo esempio per affrontare due questioni piuttosto annose. La prima riguarda il carattere dell’auto. E’ possibile sviluppare modelli diversi, anche a livello di sensazioni di guida, partendo dallo stesso pianale? Per rispondere alla domanda basterebbe guidare una Alfa Romeo 155 Q4 (a trovarne una) e una Fiat Bravo 2.0 20V HGT, oppure una Lancia Lybra e una Alfa Romeo 156 GTA. La seconda riguarda l’evoluzione, ovvero che cosa serva per poter dire che un pianale o una piattaforma sono nuovi rispetto a quelli che li hanno preceduti. Ma a questo punto probabilmente potete rispondere da soli.

Share this Post!

About the Author : admin

0 Comment